Il Welfare Aziendale è una pratica di tipo volontario, scarsamente inquadrata e largamente incerta a livello giuridico, la cui efficacia dipende in gran parte dalla volontà, dal buonsenso, e dalla capacità gestionale del management e della proprietà aziendale.  

L’applicazione di queste pratiche, tuttavia, è spesso ostacolata da pregiudizi di natura culturale e dal luoghi comuni diffusi, in gran parte infondati, che impediscono di raggiungere un accordo tra impresa e lavoratori o tra impresa e organizzazioni sindacali. Il Welfare aziendale è frutto di un’alleanza basata sulla fiducia reciproca per ottenere mutui vantaggi e pertanto in molti casi è indizio di un clima partecipativo delle dinamiche sindacali interne all’azienda. 

Ci proponiamo pertanto di affrontare alcune delle domande più frequenti e critiche in questo senso.  


Il Welfare Aziendale costa troppo?
 

Per definizione, come accennato nel paragrafo iniziale, le misure di Welfare Aziendale si caratterizzano per essere misure non monetarie. Dunque, non si tratta di elargire più denaro ai lavoratori, ma di integrare il reddito con servizi di vario tipo, che possono essere esclusi dalla tassazione afferente al reddito da lavoro dipendente. Questi servizi possono essere molto costosi, come per esempio la costruzione di una palestra o di un asilo nido aziendale, oppure a costo zero, come la realizzazione di una piano di flessibilità degli orari di lavoro; si tratta di operare una scelta consapevole basata sulle reali necessità dei dipendenti e sulle possibilità dell’impresa. Il Welfare Aziendale in ogni caso non può essere valutato solo in termini di costi economici, ma anche come investimento strategico per lo sviluppo del capitale umano e di creazione di valore su aspetti intangibili in grado di condizionare la qualità del lavoro e la produttività dei dipendenti. 


Il Welfare Aziendale è un lusso per le grandi imprese? 

No. La sfida dei prossimi anni sarà proprio quella di diffondere al vasto tessuto di PMI italiane pratiche e iniziative che per vari motivi si sono diffuse in modo più rapido nelle grandi imprese e multinazionali. Qualsiasi innovazione che vuole essere di sistema, in Italia (e in gran parte d’Europa), lo è solamente se esce dall’elitarietà della grande impresa e si adatta ad essere fatta propria da singole piccole e medie imprese o da reti e alleanze di queste. Le reti di imprese per realizzare piani di Welfare in partenariato, al fine di superare le difficoltà derivanti dalla mancanza di massa critica per portare a termine azioni significative, possono essere uno strumento interessante da sviluppare nei prossimi anni, con il coinvolgimento delle Associazioni datoriali e dell’Ente Pubblico.


Il Welfare Aziendale è un modo per pagare meno i dipendenti? 

Al contrario. In una prospettiva di retribuzione complessiva, o Total Rewarding, il Welfare Aziendale può essere uno degli strumenti chiave per superare la attuale perdita costante di potere d’acquisto da parte dei dipendenti di quasi tutte le imprese italiane. I rinnovi dei contratti nazionali dei prossimi anni raramente prevederanno il ritocco in positivo di tipo monetario; sempre più invece ci si batterà per conquistare retribuzioni aggiuntive sottoforma di servizi che aiutino a migliorare il benessere e la qualità della vita. 


Il Welfare Aziendale è un modo per pagare meno tasse? 

Dipende. Molte attività che rientrano negli ambiti del Welfare Aziendale si trovano all’interno di un’area di defiscalizzazione inquadrata a livello normativo dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) e condizionata da alcuni pareri ufficiali emessi dell’Agenzia delle Entrate. In questo senso gli investimenti in Welfare Aziendale, a patto che siano frutto di una scelta libera della parte datoriale (liberalità), permettono la parziale o completa deducibilità dei costi sostenuti (a seconda dei servizi scelti e dell’articolato di riferimento) che li rendono uno dei sistemi di rewarding più efficienti a disposizione. Non è invece possibile (e ciò è stato specificato puntualmente dall’Agenzia delle Entrate) commutare una parte di retribuzione monetaria in servizi di Welfare Aziendale al fine di ridurre la base imponibile. 


Ai sindacati non interessa il Welfare Aziendale? 

La legislazione vigente (TUIR) permette la defiscalizzazione di misure di Welfare nella misura in cui queste vengano predisposte in modo volontario dalla parte datoriale (liberalità) e non siano cioè frutto di obblighi contrattuali di quasivoglia livello. Questo spiega l’apparente disinteresse delle parti sociali rispetto ai temi del Welfare Aziendale vero e proprio, a discapito del meno innovativo Welfare contrattuale e dei più complessi accordi di secondo livello. Non mancano tuttavia alcune esperienze di positivo scambio e collaborazione tra sigle sindacali e aziende, che hanno raggiunto risultati concreti e soddisfacenti su queste tematiche.