La proposta di un disegno di legge ad hoc sul tema dello Smart Working – lavoro agile – , che deriva da proposte precedenti, risalenti al 2014 e a studi realizzati a partire dal 2013 sullo stato dello Smart Working in Italia, ha senz’altro il merito di stimolare il dibattito sopra un tema che deve essere considerato come una delle leve per innovare il sistema del lavoro in Italia.

L’obiettivo di fondo dello Smart Working è in sintesi quello di liberare il potenziale di utilizzo dei devices ICT da parte dei dipendenti, per generare un intreccio positivo di conciliazione vita lavoro, e Welfare Aziendale che conduce ad un miglioramento della produttività e ad una riduzione dell’assenteismo/turnover.

Tutto ciò è consentito dall’utilizzo di tecnologie digitali in grado di “disaccoppiare” lo svolgimento di un lavoro o parte di esso dal luogo fisico e dallo spazio temporale tradizionalmente ad esso dedicati. In sostanza si tratta di mettere l’organizzazione aziendale al passo con i rapidi cambiamenti tecnologici in corso, facilitando l’incontro di una società che a tutti gli effetti è già in rete ed in rapido mutamento, con modelli organizzativi spesso fermi ai tempi e ai luoghi del novecento. La chiave per ottenere questo tipo di vantaggi sta nella capacità di garantire, accanto ad un elevato grado di fiducia tra le parti, un efficiente lavoro per obiettivi con un monitoraggio sistematico e quotidiano del lavoro svolto.

Molto interessanti sono le potenzialità offerte dal matching tra Smart Working e altri approcci di Innovazione sociale / Sharing Economy, come il Coworking: sempre più spesso infatti manager di grandi aziende apprezzano il lavoro di una parte dei dipendenti in spazi di lavoro condivisi, in grado di contaminare e creare nuovi legami con altre realtà del territorio, al di fuori delle sedi tradizionali di dialogo.

I dati emersi dall’indagine del Politecnico di Milano e da altre fonti, collocano l’Italia in fondo ai paesi europei in termini di adozione strutturata di pratiche di Smart Working: nel 2015 il 17% delle grandi imprese e solo il 5% delle pmi utilizza in modo sistematico approcci di questo tipo. In questo quadro, appare evidente la necessità di mettere in campo strumenti normativi – anche semplici – in grado di stimolare lo sviluppo di pratiche di innovazione organizzativa soprattutto nel tessuto delle piccole e medie realtà, che tipicamente vivono questo tipo di tematiche come estranee alle contingenze quotidiane della necessità di stare faticosamente sul mercato.

L’importanza di una diffusione capillare di questi approcci sta nei potenziali benefici, valutati in oltre 30 miliardi tra costi evitati e maggiore produttività, oltre ai vantaggi intangibili in termini di benessere. Detto questo, quale sia il potenziale innovativo del testo legislativo collegato alla Legge di Stabilità 2016 in via di approvazione, lo si potrà constatare solo a processo avviato, ma sarebbe illusorio pensare ad una rivoluzione innescata dai 9 articoli della legge.

Più pragmaticamente, in termini concettuali lo Smart Working inquadrato dal testo si configura in gran parte nel quadro del telelavoro, con la differenza che si concedono maggiori flessibilità in termini contrattuali – non si applica appunto la disciplina normativa del telelavoro Accordo Interconfederale del 2004 – e di libertà comportamentale – non vi è la necessità di individuare una postazione fissa per il dipendente.

In altre parole, come emerge chiaramente dall’art.1, si è in presenza di un approccio analogo al telelavoro, ma maggiormente flessibile e semplificato, che si poggia sostanzialmente su un accordo volontario – non su una tipologia contrattuale – tra le parti (dipendente e datore di lavoro) attraverso il quale definire caso per caso una serie di flessibilità. L’accordo si attiva nella garanzia della messa a disposizione di tecnologie e connessioni adeguate a garantire lo svolgimento delle mansioni di contratto, e nel mantenimento dei livelli retributivi ordinari, così come nella garanzia delle coperture dei livelli di sicurezza sia nei luoghi che nei tragitti di lavoro.

Sulla questione del tempo, le ore complessive svolte in modo smart possono essere fino al 50% delle ore contrattuali annue, mentre a livello di singola giornata vigono i tempi stabiliti dal contratto di lavoro, compresa una pausa, che deve essere fruita.

L’elemento essenziale dello Smart Working è rappresentato dalla cosiddetta leva tecnologica: sicurezza dei dati, interoperabilità e accesso da remoto, connessione ai database aziendali, sono elementi essenziali senza i quali non ha senso parlare di innovazione organizzativa in senso smart. Il testo su questo abbina responsabilità del datore di lavoro nel garantire la disponibilità di questi elementi alla possibilità dell’utilizzo dei devices di proprietà del dipendente, secondo l’accordo stipulato tra le parti.

Un punto di interesse prioritario del progetto di legge sta nel sistema di incentivi ad esso collegati (art. 9), che si basano su due punti: da un lato sono in vista modifiche normative ad hoc alla Agenda Digitale nazionale – proprio per per supportare la diffusione di modalità di lavoro legati alle nuove tecnologie – dall’altro il d.d.l. rimanda agli incentivi fiscali e contributivi legati ai servizi di welfare aziendale contenuti nell’art. 14 della legge di stabilità.

È possibile infine fare un altro collegamento con il provvedimento legislativo del governo di “riforma della pubblica amministrazione”, la cosiddetta riforma Madia, nella quale si ritrova un altro rimando al lavoro agile, declinato nella accezione di lavoro svolto in “modo telematico”. Nella riforma si propone infatti la sperimentazione della modalità di lavoro slegata dalla sede amministrativa per il 10% del personale assunto (era il 20% nella prima versione del testo). Nonostante questi numeri limitati, una spinta dall’alto per accompagnare gli enti pubblici verso un livello più avanzato di smartness e confidenzialità con nuovi strumenti informatici è più che necessario.

Tornando al testo collegato alla Legge di stabilità, si può dire che, senza farsi troppe illusioni, il tentativo sia lodevole e arrivi a compimento in un momento chiave, nel quale il tema sta velocemente diffondendosi tra le imprese di grandi dimensioni. È però essenziale che l’introduzione di queste innovazioni avvenga in modo integrato senza essere vissuto come una moda con interventi spot di breve durata, ma con obiettivi chiari e calibrati rispetto alle specificità aziendali.

Quanto poi questo tema possa riversarsi sull’oltre 90% di imprese piccole e medie, sta da nella capacità reattiva, di rete e di adattamento culturale di queste, che al di là della leva tecnologica e dell’”hardware”, hanno bisogno di un supporto professionale nel processo di analisi delle specificità, delle opportunità e dei possibili partner nella sfida di rinnovarsi velocemente senza perdere di vista la quotidianità del mercato.